“In tema di responsabilità da contatto sociale, spetta al paziente fornire la prova del predetto contatto come accesso alla prestazione sanitaria, dell’aggravamento della patologia o dell’insorgenza di malattia o di infezione, da imputare ad una difettosa prestazione sanitaria, come inadempimento all’obbligo di garanzia che è intrinseco al costituirsi del rapporto tra medico e paziente o tra paziente e struttura”.
Nel caso di specie, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento dei danni biologici, morali e patrimoniali avanzata da una donna nei confronti del medico e della struttura ospedaliera per aver subito un intervento, non necessario, che le aveva successivamente provocato una sterilità irreversibile.
La Corte di Appello, escludendo il nesso di causalità tra il precedente trattamento ormonale, praticato dal ginecologo e l’intervento chirurgico praticato dalla Casa di cura, accoglieva l’appello del medico.
Tuttavia, la Corte di Cassazione ha cassato con rinvio la sentenza di merito, evidenziando che la condotta del ginecologo, proprio in relazione all’obbligo deontologico di garanzia e di compartecipazione alle scelte del ricovero urgente, rivelava una gravissima condotta negligente ed omissiva verso i medici che intendevano effettuare l’intervento. Tale intervento non doveva essere ablativo, ma conservativo e avrebbe dovuto essere effettuato con tutte le attenzioni e cautele possibili, prevedendo, se del caso, anche il trasferimento della paziente in un ospedale attrezzato, peraltro non distante dai luoghi della clinica.
Sotto il profilo causale, a giudizio della Suprema Corte, resta evidente che l’inadempimento del medico, al dovere di cura e di compartecipazione in una situazione di emergenza, è concausa dell’evento dannoso e che benché tale concausa abbia natura omissiva, essa ben può costituire un fattore determinante all’intervento chirurgico, che deve comunque avvenire presso una struttura idonea. Nota dell’avv. Alfredo Sagliocco.
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